lunedì 28 ottobre 2019

Edward Snowden - Errore di sistema


Edward Snowden (Elizabeth City, North Carolina, 1983) è un cittadino americano, genio dell’informatica che ha prestato servizio come funzionario nelle due grandi agenzie di intelligence e di sicurezza nazionale degli Stati Uniti: la CIA e l’NSA. Nel maggio 2013 Snowden rivelò al mondo, attraverso una serie di interviste rilasciate al Guardian, l’esistenza di un programma di intelligence messo a punto dalle agenzie americane per spiare impunemente chiunque, sulla rete, in ogni angolo del mondo. La sua denuncia squarciò il velo di segretezza sotto cui si celavano continue e incalcolabili violazioni del diritto alla privacy e alla libertà di informazione. In seguito alle sue dichiarazioni, in Europa, Brasile e negli stessi Stati Uniti vennero avviate una serie di inchieste sull’operato del governo federale, mentre gli USA accusavano Snowden di reati gravissimi: furto di proprietà governative e spionaggio. Per proteggerlo dalle ritorsioni americane, nel luglio 2013 la Russia gli concesse asilo politico temporaneo. Nel 2015 anche l’Unione Europea gli ha riconosciuto lo status di rifugiato politico, evitandogli l’estradizione. Nel 2016 Oliver Stone ha diretto il film Snowden, ispirato alla sua storia. In questi anni, diversi prestigiosi riconoscimenti internazionali sono stati tributati a Snowden per il coraggio dimostrato e l’impegno a favore della verità e della libertà di pensiero e informazione. Oggi Edward Snowden vive ancora in Russia ed è il presidente del consiglio di amministrazione della Freedom of the Press Foundation.




La libertà di un paese si può misurare soltanto in base al rispetto verso i diritti dei propri cittadini, e io credo che tali diritti rappresentino delle restrizioni al potere dello Stato, perché stabiliscono fin dove può spingersi un governo senza invadere quel territorio proprio dell’individuo che durante la rivoluzione americana era chiamato libertà, mentre nella rivoluzione di Internet corrisponde alla privacy.

Sono passati sei anni da quando ho deciso di uscire allo scoperto, dopo aver visto i cosiddetti paesi avanzati impegnarsi sempre di meno per tutelare la privacy dei propri cittadini, privacy che non solo io, ma anche le Nazioni Unite considerano uno dei diritti umani fondamentali. In questi anni, con lo svilimento della democrazia in populismo autoritario, questo impegno ha continuato a diminuire; una regressione che appare evidente soprattutto nel rapporto tra i governi e la stampa.
I tentativi dei funzionari eletti di delegittimare i giornalisti sono stati accompagnati e sostenuti da un duro attacco al concetto di verità. I fatti reali vengono accostati di proposito a quelli inventati, attraverso tecnologie in grado di trasformare questo amalgama in una confusione generale senza precedenti.

Conosco molto bene questo processo, perché la creazione dell’irrealtà è sempre stata una delle arti più oscure dell’Intelligence Community. Si tratta delle stesse agenzie – e parlo solo di cose accadute mentre lavoravo per loro – che hanno manipolato le informazioni al fine di ottenere pretesti per scatenare guerre, e che tramite politiche illegali e procedure giudiziarie poco trasparenti hanno potuto compiere sequestri di persona chiamandoli «consegne straordinarie», mentre le torture erano «interrogatori avanzati» e la sorveglianza di massa una semplice «raccolta dati»; inoltre non hanno esitato a definirmi una spia al soldo dei cinesi, poi dei russi, e ancora peggio, un «millennial».
Se hanno potuto dire tutto questo, e in modo così libero, è perché mi sono rifiutato di difendermi. Dal momento in cui ho deciso di dire la verità, mi sono ripromesso di non rivelare mai alcun dettaglio della mia vita personale che potesse causare ancora più dolore alla mia famiglia e ai miei amici, già messi alla prova dalle mie scelte di principio.


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