sabato 27 settembre 2025

Vita da Metalmeccanico

 

A ventotto anni ho firmato un contratto,
dopo anni di nero e di promesse vuote.
Mi sembrava vita che ricominciava:
soldi veri, dignità, il futuro in mano.

Ho ringraziato quel lavoro:
con lui ho costruito una famiglia,
ho messo su casa,
ho portato pane a tavola.
Ma a quale prezzo?
Notti rubate al sonno,
corpo spezzato sulle macchine,
salute barattata per uno stipendio.

E oggi cosa resta?
Dolori che mi svegliano prima della sveglia,
cassa integrazione come condanna silenziosa,
troppo vecchio per reinventarmi,
troppo giovane per riposare.

Il futuro dei metalmeccanici non c’è più:
fabbriche che chiudono,
mani che restano sospese,
sudore che non vale niente.
Siamo una categoria allo sbando,
futuro cancellato come ruggine sul ferro.

E mi guardo allo specchio:
vedo un uomo che ha dato tutto,
in cambio di cicatrici e incertezze.
Eppure ancora parlo,
ancora resisto,
perché la nostra voce
non devono seppellirla nel silenzio.

Abbiamo dato tutto
e ci hanno tolto tutto.
Siamo ruggine,
siamo numeri,
siamo voci che gridano:
non spegneteci!

P.S.: se dobbiamo fare uno sciopero, dobbiamo farlo a Roma, altrimenti è inutile. 

 

 

mercoledì 17 settembre 2025

Sciopero per Gaza, si o no?

 

Cosa penso dello sciopero indetto per Gaza? Da un lato c’è il bisogno legittimo di mostrare solidarietà verso i civili palestinesi, vittime di una crisi umanitaria gravissima. Dall’altro, però, è lecito chiedersi quanto sia autentica questa preoccupazione e quando invece uno sciopero diventi soprattutto un’occasione per acquisire visibilità, consensi o rafforzare l’identità politica o sindacale, senza incidere davvero sulla realtà.

Non voglio negare il diritto allo sciopero, né sminuire l’urgenza della situazione a Gaza. Ma chiedo che chi promuove azioni del genere lo faccia con responsabilità: indicando obiettivi chiari, concreti e misurabili; mettendo in luce non solo il dolore, ma anche le vie legali, diplomatiche e operative per contribuire (corridoi umanitari, cooperazione, aiuti, pressione internazionale); evitando che la protesta diventi uno slogan per sembrare più sensibili o “etici”; ricordando sempre che le vittime reali non sono un palcoscenico, ma persone verso cui occorre agire, non solo parlare.

  

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