giovedì 16 febbraio 2023

L'etica insegna a renderci degni della felicità


'Etica' è parola di derivazione greca (da ἔθοϚ, che significa 'costume', 'carattere') equivalente al termine di derivazione latina 'morale' (da mores, che significa 'costumi'): la tradizione latina chiama 'morali' le virtù di carattere che Aristotele chiama 'etiche' e distingue da quelle intellettuali. Nell'uso corrente tuttavia i termini di derivazione greca entrano di solito nel gergo delle professioni colte, dei medici come dei letterati e dei filosofi, e questo ha fatto sì che si usi spesso 'etica' solo in relazione allo studio dei costumi, mentre 'morale' può riferirsi tanto allo studio dei costumi quanto ai costumi stessi. In questo senso parliamo di Etica o di Morale per indicare delle discipline, ma parliamo delle 'morali' per indicare comportamenti come la 'morale corrente', la 'morale cristiana', la 'morale islamica', ecc. Ne è nata l'impressione che 'morale' si riferisca direttamente a qualcosa di reale, qualcosa come l'oggetto dell'etica, la quale pertanto sarebbe un'attività di secondo grado rispetto a quell'oggetto. Per questo 'etica' è usata spesso per indicare le considerazioni sui principî che ispirano una morale: in questo senso si usano espressioni come 'etica della responsabilità'.

Questa sistemazione trae origine dal fatto che l'etica come disciplina specializzata è stata 'inventata' dai Greci o, meglio, dai filosofi greci. Nei Topici Aristotele dice che in una scuola filosofica si potevano discutere questioni logiche, fisiche o etiche, e spesso nelle proprie opere fa dell'etica una scienza pratica che, a differenza delle scienze teoretiche rivolte alle cose necessarie, sulle quali non si può intervenire, verte sulle azioni umane. Come attesta Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi, gli antichi ritenevano che la distinzione tra logica, fisica ed etica fosse nata nell'Accademia, cioè nella scuola di Platone, e che fosse condivisa da tutte le scuole filosofiche successive. Nell'interpretazione corrente della nostra storia intellettuale, dominata dal primato della civiltà greca, la nascita della filosofia presso i Greci è considerata la scoperta di una forma universale di sapere, e la comparsa dell'etica quale disciplina autonoma è spesso vista come uno stadio successivo a quello in cui la morale si esprime più primitivamente in leggi, in massime e nella letteratura religiosa o poetica, come accade nelle civiltà diverse da quella greca o nella civiltà greca arcaica.

Come può definirsi l'etica?

L'etica è sia un insieme di norme e di valori che regolano il comportamento dell'uomo in relazione agli altri, sia un criterio che permette all'uomo di giudicare i comportamenti, propri e altrui, rispetto al bene e al male.

Quale filosofo parla di etica?

Aristotele

Termine introdotto da Aristotele per designare le sue trattazioni di filosofia della pratica; indica quella parte della filosofia che si occupa del costume, ossia del comportamento umano.

Perché l'etica è importante?

Grazie ai valori etici fondamentali del rispetto e della correttezza, l'etica funge da diga morale, per arginare le conseguenze potenzialmente catastrofiche di un egoismo dilagante.

Quanti tipi di etica esistono?

L'etica è una parte della filosofia dedicata alla riflessione morale, ed è divisa in tre rami o tipi: metaetica, etica normativa ed etica applicata.

Quali sono i quattro principi etici?

Childress e Beauchamp nel 1979, hanno elaborato quattro principi (autonomia, non-maleficienza, beneficienza, giustizia) che dovrebbero fungere da guida. Detti Principi sono uno schema di teoria etica per l'identificazione, l'analisi e la soluzione dei problemi etici.

Qual è il fine dell'etica?

La virtù etica consiste nella scelta del giusto mezzo che si trova tra i due opposti (per esempio: coraggio giusto mezzo tra viltà e la temerarietà; magnanimità è il giusto mezzo tra vanità e umiltà). La principale tra le virtù etiche è la giustizia, alla quale Aristotele dedica l'"Etica".

Cos’è l'etica del sindacalista (Daniele Tissone)

I tempi complessi che stiamo vivendo ci impongono, oggi più che mai, di interrogarci sul concetto di etica nel sindacato. Vorrei soffermarmi su ciascuna delle tre parole che compongono questa frase ("etica nel sindacato") per cercare di spiegare al meglio il ragionamento che intendo fare.

Etica o morale?

Innanzitutto, non da ora, ritengo che sia opportuno parlare di "etica" e non di "morale", anche se spesso i due termini si sovrappongono nel linguaggio di tutti i giorni. L'etica, che in filosofia analizza il comportamento ritenuto corretto, contiene nel suo più profondo significato la ricerca di uno o più criteri che permettono alla persona di gestire in modo consono la propria libertà. Concetti che si uniscono perfettamente all'etimologia del vocabolo "sindacato" che, come è noto, deriva dal greco e significa insieme per la giustizia. Da questo punto di vista la preposizione "nel" della frase che sto analizzando è parte sostanziale e non secondaria. Dunque l'etica (non la morale, che indica la condotta diretta da norme ed è sostanzialmente oggetto di studio dell'etica) nel sindacato riguarda i comportamenti delle persone che agiscono nelle organizzazioni e che, anche questo va detto con grande chiarezza, non sono immuni dagli stessi problemi e dalle stesse debolezze o vizi che si possono incontrare in tutte le comunità umane.

La conquista della credibilità

Ci vuole moltissimo per conquistare credibilità e fiducia, ma ci vuole poco, anzi pochissimo, per distruggere tutto questo con atteggiamenti che primariamente offendono l'intelligenza di chi li porta avanti. Non c'è bisogno di scomodare Max Weber per sapere che in fondo l'etica del sindacalista non è altro che l'etica della responsabilità. Perché nella vita sociale (e sindacale) le nostre azioni generano conseguenze. Spesso ben al di là delle nostre intenzioni.


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