martedì 18 aprile 2017

Alessandro Orsini contro i media occidentali


La vera sfida, per Trump, è la Corea del Nord. Almeno per ora, la situazione in Siria non è destinata a riservare sorprese significative, avendo assunto una dimensione stabile nella sua tragicità. Putin non vuole rinunciare a Bassar al Assad, in base a un ragionamento strategico che rasenta la perfezione. La rimozione di Assad dal potere avvierebbe un processo politico, i cui esiti Putin non sarebbe in grado di controllare. Sostituire il presidente siriano significherebbe porre le premesse per una consultazione elettorale e la stesura di una nuova Costituzione, con tanto di elettori che si recano alle urne per eleggere e ratificare. Significherebbe, più semplicemente, rifondare un intero paese, sapendo che il blocco formato da Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita e Qatar, si batterebbe furiosamente per determinare l’elezione di un presidente a loro fedele che riduca l’influenza russa sulla Siria. Trump, e i suoi alleati regionali, chiedono la rimozione di Bassar al Assad per inserirsi nella vita politica siriana e conquistarla dall’interno. Putin lo sa ed è la ragione per cui Bassar al Assad è rimasto al potere. Lo Stato Islamico ha beneficiato di queste divisioni, che hanno rallentato e ostacolato il processo di riconquista delle roccaforti jihadiste. L’Isis è l’organizzazione terroristica più fortunata del mondo. 

Diverso è il caso della Corea del Nord, che consente di osservare il ruolo della paura nel mutamento internazionale. Fino a quando la paura è sotto controllo, la guerra è un pericolo potenziale. Quando si scatena, gli eserciti si mobilitano. La paura ha preso a correre il 29 gennaio 2002, quando George W. Bush inserì l’Iraq e la Corea del Nord tra i paesi dell’“asse del male”. Invaso l’Iraq − proprio con l’accusa di costruire la bomba atomica − la Corea del Nord si precipitò a sviluppare il suo programma nucleare, convinta che questo fosse l’unico modo per prevenire l’invasione americana. 
Per poter condurre una trattativa in favore della pace, occorre entrare nella mente dell’interlocutore, comprendere la sua paura più grande e neutralizzarla. Una trattativa è, in primo luogo, un’impresa psicologica basata sulla rassicurazione. Se, invece, si vuole condurre una trattativa in favore della guerra, occorre entrare nella mente dell’avversario per atterrirlo. Quale sia la paura del dittatore della Corea del Nord è presto detto: ha paura di morire come Saddam Hussein e Gheddafi. I suoi comunicati ufficiali non fanno altro che ripetere: “Gli Usa non tratteranno la Corea del Nord come hanno trattato Iraq e Libia”. Trump ha mobilitato una nave da guerra e la Cina ha interrotto i voli verso la Corea del Nord. La paura corre. 
La soluzione più vantaggiosa, per la Cina, sarebbe quella di assumere la guida di un tavolo negoziale, com’era già accaduto tra il 2003 e il 2007. Tuttavia, se Trump bombardasse la Corea del Nord all’improvviso, non è scontato che la Cina si schieri contro gli Stati Uniti. Per comprendere il senso di questa affermazione, occorre conoscere la caratteristica fondamentale del sistema internazionale, che è l’anarchia. Dal momento che nessuno Stato può mai essere sicuro delle intenzioni degli altri Stati, che da amici potrebbero trasformarsi in nemici, le potenze nucleari, che sono Usa, Francia, Inghilterra, Russia, Cina, Pakistan, Israele e India, non hanno un interesse che altri paesi acquisiscano la bomba atomica. Ad esempio, l’Italia è in ottimi rapporti con la Francia che, tuttavia, farebbe di tutto per impedire all’Italia di dotarsi di un’arma nucleare. Francesi e italiani sono oggi fratelli. Ma chi può garantire che lo saranno fino alla fine dei tempi? Gli statisti non possono prevedere il futuro. Nel dubbio, diffidano. In un sistema internazionale, basato sull’anarchia, lo statista perfetto è colui che non si fida di nessuno. Lo stesso discorso vale per i rapporti tra Cina e Corea del Nord. Alleati sì, ma fino a un certo punto. Infatti, il 30 novembre 2016, la Cina ha votato in favore di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro il quinto esperimento nucleare della Corea del Nord, insieme con Usa, Francia, Inghilterra e Russia. 
In realtà, i tempi per intavolare una trattativa ci sarebbero. Anche se la Corea del Nord mantenesse la promessa di realizzare un nuovo test nucleare nei prossimi giorni, l’intervento militare americano potrebbe essere rimandato. I vertici americani sanno che il vero problema non sono le testate nucleari, di cui la Corea del Nord già dispone, bensì la creazione di un missile balistico intercontinentale su cui caricarle, capace di raggiungere gli Stati Uniti. 
Quel missile non esiste ancora. Il tempo per realizzarlo coincide con il tempo per trattare. Purché si voglia entrare nella mente dell’avversario in favore della pace.

Alessandro Orsini (Domenica 17 aprile 2017, dalla rubrica ATLANTE)

Alessandro Orsini a Seven Sky Tg24


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