LA MORTE
Quod fatui contumeliant
Sapientes congremiant.
La vita, nel senso pedestre della parola, è una catena ininterrotta di piccole e grandi pene; la vita morale e spirituale e in lotta perpetua con l'ambiente, tenaglia che preme le nostre elementari libertà. La vita fisica, materiale, grossolana, del nostro corpo lotta perpetuamente con necessità insoddisfatte, piccoli e grandi malanni, il contagio, le epidemie, le infermità costituzionali, e tutta la scala variopinta dei dolori e delle impotenze della nostra carcassa.
La civiltà, con leggi, provvedimenti, consuetudini, costumi, transazioni, cerca riparare alla meglio alle necessità liberaleggianti del morale umano, costringendolo, educandolo alla ipocrisia; inverniciandolo per nascondere il colore antipatico delle anime ribelli; profumandolo per impedire che il sentore della volontà di essere contro i simili si discopra.
Al fisico umano cerca riparare la scienza medica — l'uomo che lotta contro la natura — per strapparle il secreto della sanità e della invulnerabilità.
Esaminato bene, il bilancio delle pene e dei piaceri, delle ore di delizie, delle dispiacenti, delle pacifiche, delle terribili, e ponderandole con leggero acume pratico, il più beota tra gli umani vedrebbe chiaro che non vai la pena il vivere e l'affannarsi a vivere.
Giovani, in lotta con le necessità, le ambizioni, i desideri di godimento, con un corpo esuberante di sangue, di muscoli, di linfa; spesso affamato; eternamente in tensione per acciuffare la fortuna al rapido passaggio, chiamando emulazione, per ipocrisia, ogni agguato che ci lusinga di togliere al nostro vicino il pane e la fama per assidersi al suo posto, e gentilmente schiacciarlo come un insetto immondo.
Vecchi, coi mezzi raccolti in vita, quando molto si potrebbe godere, per l’esperienza, la temperanza, la saggezza, i malanni fisici, l'impotenza, la debolezza, la cagionevolezza, ci riducono a ombre pie o a rassegnati, in attesa della fine.
Eppure, con tal quadro, gli uomini non vorrebbero morire.
La Morte, considerata a sangue freddo, senza bollori bellici, senza esasperazione di rissanti, fa paura a tutto l'uman genere. Vi ci acconciamo perché non si può evitarla. Vi ci ricamiamo su un bellissimo epitaffio filosofico per edulcorare la pillola, che bisogna, volenti o nolenti ingurgitare, con una smorfia di spasimo o una maschera eroica.
Perché?
Dagli Egizii, dai Caldei, dagli Assiri ai Cristiani, tutte le religioni si sono imperniate su questa assillante idea, paurosa, opprimente del dopo morte.
Il di là della vita, buio, ignorato, discusso con tanti vari argomenti, di chi lo dice lieto e felice e luminoso, come gli spiritualisti a tutto vapore; di chi lo vuoi purificatore e ascendente verso la troppo immensa vastità cosmica che si immedesima al Nulla; di chi lo determina al giudizio che Dio farà di noi, come dall'antico Egitto al Cattolicesimo, questo salto nell'oscurità immensa dell' ignoto è tanto universalmente temuto che assume in certi istanti l’aspetto più comico che, se non fossimo civilmente educati a stimar la morte come un istante solenne di una gravita sublime, ci metteremmo a ridere.
Poiché, amico lettore, muore tanta gente nel mondo a ogni minuto dell'orologio del vicino campanile, che serenamente considerato non dev'essere affatto una cosa difficile, né un'azione spaventosa. Il medico Cirillo, motteggiando, soleva dire che la morte deve essere bella, perché dopo il suo arrivo gli ammalati non se ne lamentano mai.
L'epoca nostra, che per scienza di esperimento e per dottrina è meravigliosa, che possiede strumenti e metodi e sale di esperienze, che nessun secolo pare avesse possedute, — più di tutte le precedenti - vorrebbe risolvere il problema del rinnovellamento della vita, — il suo prolungamento all'infinito.
Non sono atto a far la storia di tutte le idee sbrodolate negli ultimi cinquant'anni; ma se ne son sentite di tutti i colori.
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