"Buonasera, sono Alessio Grancagnolo e sono uno studente di Giurisprudenza.
In premessa vorrei dire che negli ultimi giorni molte amiche e molti
amici mi hanno caldamente suggerito di rivedere il mio intervento,
ritenuto troppo critico, chiedendomi di ammorbidirne i contenuti.
Tuttavia, credo che questo Paese abbia bisogno di piccoli atti di
coraggio, a partire dal quotidiano, così ho deciso di non ascoltare
consigli che erano certamente dati in buona fede, e il mio intervento
sarà esattamente come era stato ideato. Modificarlo avrebbe
rappresentato una mancanza di rispetto nei confronti di me stesso e di
questo Ateneo, che è luogo di dibattito e critica, fondato sulla libertà
di espressione e sulla libera dialettica che auspicabilmente dovrebbe
animare per primi proprio i luoghi della cultura e della formazione.
Spero, a conclusione del mio intervento, di non essere additato come un
vecchio “parruccone”, anche in considerazione della mia età, per
riprendere l’espressione che è stata utilizzata negli scorsi mesi per
etichettare alcuni critici della vostra riforma da parte di esponenti
della maggioranza di Governo. Le critiche che muovo alla riforma
costituzionale sono di due ordini: di metodo e di merito.
Sul metodo; prescindendo dalle continue forzature dei Regolamenti
parlamentari operate in questa legislatura sulla quasi totalità dei
provvedimenti (continue questioni di fiducia, canguri, ghigliottine,
sostituzione dei membri della minoranza PD in Commissione, discussione
della stessa riforma costituzionale anche in seduta notturna,
Costituzione approvata a colpi di maggioranza, velati ricatti al
Parlamento di andare a elezioni anticipate in caso di mancata
approvazione dei provvedimenti), c’è un elemento che spesso sfugge a
molti, e che sta a monte, rappresentando un po’ la madre di tutte le
forzature: la sent. n. 1/2014 della Consulta. Il Parlamento della XVII
legislatura della Repubblica italiana è stato eletto con una legge
elettorale (il celebre Porcellum) che la Corte costituzionale ha
giudicato parzialmente illegittima (per l’abnorme premio di maggioranza
svincolato da una soglia minima di voti e per l’assenza del voto di
preferenza). La Corte non mette in dubbio la legittimità giuridica delle
Camere (sebbene qualche costituzionalista obietti che le attuali Camere
non possano spingersi fino a una revisione costituzionale). Ma il vero
problema è un altro: che legittimità politica ha un Parlamento eletto
con una legge incostituzionale? E soprattutto: che legittimità politica
ha questo Parlamento di nominati nell’attuare la più grande riforma
della Costituzione della storia di questo Paese, che con la modifica di
51 articoli della Carta va ben oltre l’ordinaria amministrazione? La
vostra riforma è stata approvata con una maggioranza parlamentare
artificialmente costruita, drogata da un premio di maggioranza
dichiarato incostituzionale, che ha originato un vulnus di
rappresentanza politica.
Sempre sul metodo, un fatto che mi ha lasciato stupito è l’iniziativa
governativa nel DDL che porta il suo nome. Non è questione di mera
forma, ministra, è questione di sostanza. In Assemblea Costituente Piero
Calamandrei ebbe a dire: “Durante la discussione in aula sulla
Costituzione, siano vuoti i banchi del Governo”. Il potere esecutivo non
dovrebbe avere nessun potere in merito alla revisione costituzionale,
materia da sempre considerata di stretta competenza delle Camera, sono
inopportune (sebbene giuridicamente legittime) le ingerenze del Governo
in tale ambito. La Costituzione non è a disposizione del Governo e della
maggioranza di turno. È un patto che si pone a un livello superiore,
che fonda la nostra comunità politica, che dovrebbe essere sottratto
alle contingenze del momento. Invece il suo Governo ha assunto un ruolo
di primo piano in questa riforma presentata alle Camere, e mi perdoni
ministra, con un’arroganza inedita nella storia repubblicana.
Passo al merito.
Il combinato disposto tra la legge elettorale nota come “Italicum” e
il progetto di revisione costituzionale produce un mutamento surrettizio
della nostra forma di governo e persino della forma di Stato. Il nostro
ordinamento passerà da una democrazia parlamentare (spesso svuotata di
contenuto nella prassi governista degli ultimi decenni) a una democrazia
d’investitura (un premierato assoluto secondo la definizione datane da
alcuni giuristi). Si tratta di una legge che secondo alcuni rievoca
momenti bui della storia del nostro Paese, con inquietanti analogie con
la legge Acerbo di epoca fascista. Come se non bastasse, l’Italicum
secondo molti non risolve le criticità costituzionali sollevate dalla
sent. n. 1/2014: di fatto se nessuna forza politica raggiunge al primo
turno il 40% dei voti, al turno di ballottaggio la lista vincente
otterrà il premio di maggioranza, senza riguardo dei voti ottenuti alla
prima tornata, senza alcuna soglia minima. Peraltro il ballottaggio per
l’elezione di un organo rappresentativo costituisce un unicum giuridico
nel panorama internazionale, dove il ballottaggio si adotta
esclusivamente per gli organi monocratici. In nome della stabilità del
governo, si sacrifica la rappresentatività. Il Governo diventa il vero
dominus del processo legislativo. Il progetto di riforma
costituzionalizza la prassi seguita nella Seconda Repubblica dai
Governi, una prassi che si impone anche in altri Paesi: supremazia degli
esecutivi sui parlamenti, in sfregio alla natura della democrazia
rappresentativa e alla stessa forma di governo, che solo formalmente
resterà quella di una repubblica parlamentare. Si costruirà invece una
democrazia immediata, fondata sul carisma del leader, in un rapporto
diretto tra questi e il popolo: con una siffatta Costituzione sarebbero
favoriti regimi personalisti e potenziali derive plebiscitarie. Il
Governo, con la legge elettorale, potrà comodamente ottenere maggioranze
utili anche per l’elezione degli organi di garanzia, con conseguenze
che potrebbero essere devastanti per il nostro ordinamento
costituzionale. Trovo assai curioso il fatto che lei vada alla Camera e
dichiari che chi ravvede in questa riforma una possibile futura svolta
autoritaria abbia le allucinazioni. Evidentemente in questo Paese siamo
in molti ad avere le visioni, e mi consolo pensando che sono in buona
compagna, con alcuni dei massimi giuristi italiani.
Nel caso in cui passi la riforma, il futuro Senato sarà composto da
consiglieri regionali e sindaci eletti con un’elezione di seconda
livello, prefigurando una Camera non elettiva, costituita da
amministratori locali che acquisteranno tutte le prerogative
parlamentari (tra le altre, l’autorizzazione della Camera di
appartenenza in caso di arresto o intercettazioni). Il livello locale
rappresenta, come anche i recenti episodi di cronaca giudiziaria
dimostrano, la dimensione più esposta al malaffare e alla corruzione.
Peccato poi che la legge sia scritta abbastanza male, e a causa di
una espressione ambigua nel testo non si capisce che ruolo debbano avere
gli elettori nell’elezione dei futuri senatori. Il Consiglio regionale
si limiterà a ratificare la scelta compiuta dagli elettori al momento
del voto o assisteremo alla lottizzazione delle cariche all’interno dei
consigli regionali? Non sarebbe stato meglio abrogare totalmente il
Senato, compensandone l’eliminazione con appositi contrappesi, piuttosto
che mantenere questo mostro giuridico in vita? L’iter legis con questa
riforma diventerebbe molto più complesso rispetto ad oggi. Basta
confrontare l’attuale art. 70 della Costituzione, che disciplina il
procedimento legislativo, e quello previsto dalla riforma. Ci saranno,
in base alla materia trattata, leggi approvate da entrambe le Camere e
leggi approvate dalla sola Camera con la possibilità per il Senato di
proporre modifiche su cui la Camera si esprimerà in via definitiva. Ne
viene fuori un sistema confuso e pasticciato, con ben 9 procedimenti
legislativi e un elevato rischio di contenzioso tra le Camere davanti la
Corte costituzionale, che avrà presumibilmente l’effetto di rallentare
il procedimento legislativo. Riporto un dato oggettivo: il testo vigente
dell’art. 70 consta di 9 parole. Il testo dell’art. 70 come riformato
dal suo governo conta ben 438 parole! Altro che semplificazione!
L’art. 138 della Costituzione che disciplina il procedimento di
revisione costituzionale è stato immaginato dal Costituente, come
sottolineato da autorevole dottrina, per interventi puntuali, per
operazioni di manutenzione costituzionale, non per la modifica di intere
parti della Costituzione (come è già stato fatto in passato, a onor del
vero). Il referendum costituzionale in tal modo si trasforma in una
sorta di pacchetto: prendere o lasciare il progetto di revisione
costituzionale, in blocco, limitando la libertà di scelta dell’elettore.
A me sembra che questa riforma provochi una modifica netta di quella
“forma repubblicana” che l’art. 139 della Carta individua come limite
assoluto alla revisione costituzione, con effetti al limite
dell’eversivo (anche il potere di revisione della Costituzione è un
potere costituito, e non costituente). Voi continuate a ripetere che la
prima parte della Costituzione non viene modificata. Formalmente è vero,
ma sarebbe sciocco pensare che una modifica della seconda parte della
Costituzione (quella sull’edificio istituzionale dello Stato) non incida
inevitabilmente anche sulla parte dei principi. La Costituzione è un
corpo vivo e unitario, e le sue parti vivono in un rapporto osmotico,
immaginare una Costituzione a compartimenti stagni è fuorviante e
pericoloso. La Costituzione vive di delicati equilibri, di pesi e
contrappesi: modificarla senza un progetto lungimirante, ma in forme
dettate dall’esigenza di una (in realtà solo immaginaria) rottamazione
dell’esistente (magari utilizzando specchietti per le allodole come il
taglio dei costi della politica) è assai rischioso. Questa riforma
sembra scritta, sulla base degli accordi politici del momento. Questa è
una copia anastatica della Costituzione, scritta da personaggi di
elevata caratura culturale e morale, che mi consenta ministra, non è
neanche lontanamente paragonabile a quella di alcuni esponenti di questa
maggioranza. Addossare alla Costituzione tutti i problemi di questo
Paese è pura demagogia costituzionale, un’operazione intellettualmente
disonesta indice di una classe politica inadeguata ad affrontare le
sfide del presente, e bisognosa di trovare un capro espiatorio da
accusare come responsabile di ogni male.
E poi, a ottobre, c’è il referendum costituzionale oppositivo (e non
confermativo come si continua ad affermare ultimamente). La campagna
referendaria è cominciata, come dimostra anche il suo tour
propagandistico negli atenei italiani. Il Governo vuole trasformare
questa importante consultazione in un plebiscito sul Premier. Credo che
questa sia la massima espressione dell’idea di democrazia che questo
governo ha dimostrato in questi due anni di mandato. Si tratta, nei
fatti, di un voto di fiducia dinnanzi al popolo sulla riforma, che
ostacola un autentico dibattito sul merito, puntando invece a
personalizzarlo. Come se stessimo parlando di una riforma qualsiasi, e
non di una riforma costituzionale che potrebbe riguardare l’assetto
istituzionale del nostro Paese per i prossimi decenni. Ormai siamo al
populismo costituzionale. Qualche giorno fa lei, con una imbarazzante
dichiarazione, ha assimilato chi voterà NO al referendum a Casapound. Mi
sembra un indice del nervosismo, o forse della carenza di argomenti di
questo Governo. In ogni caso è un’offesa all’intelligenza dei cittadini e
un’affermazione piuttosto becera. Le ricordo che con il fronte del NO
si è schierata anche l’ANPI, che rappresenta un pezzo importantissimo
dell’antifascismo di questo Paese.
Voi continuate a dire che chi si oppone al vostro progetto è un
conservatore. Personalmente mi sento offeso da questa definizione. Io
credo che dobbiamo interrogarci sul percorso che stiamo imboccando. Se
il cambiamento è un regresso, lottare per arrestarlo non equivale a
essere conservatori. Io non credo che la Costituzione sia intoccabile e
che non debba essere modificata, anzi: alcune modifiche (anche radicali)
devono essere fatte, ma penso che debbano andare in una direzione
diversa rispetto a quella prevista dalla riforma, verso una
valorizzazione del Parlamento come centro del sistema, come organo
rappresentativo che è espressione della sovranità popolare. Il fatto che
la riforma triplichi il numero di firme necessarie per le proposte di
legge di iniziativa popolare, portandole a 150 mila, dimostra quanto
questo Governo reputi importante la partecipazione popolare al processo
legislativo.
Un’ultima considerazione: nel 2013 un report di JP Morgan, una delle
più grandi banche d’affari al mondo, evidenziava come ostacoli alla
competitività dei Paesi del meridione europeo le Costituzioni
antifasciste, in quanto presenterebbero caratteristiche sgradite e
sarebbero troppo influenzate dagli ideali socialisti. Cito testualmente i
punti criticati: “esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti;
governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele
costituzionali dei diritti dei lavoratori, e la licenza di protestare se
vengono proposte sgradite modifiche dello status quo”. Lo stesso report
individua l’Italia dell’allora Governo Letta come laboratorio di quel
processo di riforme strutturali necessario al superamento. I mercati e
il grande capitale finanziario sembrano ormai dettare l’agenda dei
Governi europei, fino a ingerirsi pesantemente nella sovranità
costituzionale degli Stati. Lo impone la lex mercatoria, lo esige la
tecnofinanza. Nel 2011, la famosa lettera della BCE all’allora governo
Berlusconi, oltre a chiedere sciagurate misure di austerità e di
compressione dei diritti sociali, puntualmente attuate dai vari governi
che si sono fino a oggi succeduti, chiedeva proprio una modifica
dell’edificio istituzionale dello Stato. Guarda caso molte delle
modifiche costituzionali promosse dal suo Governo vanno in questa
direzione. Si tratta solo di una coincidenza? Sa com’è, ministra, non le
nascondo che a me qualche dubbio in realtà sia venuto. Non è che forse
questa riforma risponde a pressioni, diktat o logiche che poco hanno a
che fare con le reali questioni costituzionali del Paese?
A ottobre spero di festeggiare nelle piazze, insieme a moltissime
persone, la vittoria del NO al referendum costituzionale e
l’affossamento di questa pericolosa riforma. Ma le garantisco una cosa,
ministra: se ciò accadrà, non festeggeremo tanto per la caduta del suo
Governo – che pure in molti, me compreso, disprezziamo – ma per il
futuro della democrazia di questo Paese."
Alessio Grancagnolo
Ecco il video dell'intervento di Alessio Grancagnolo...
N.B. Questo intervento è stato scritto in occasione dell’incontro
degli studenti con la ministra Boschi sulle riforme costituzionali
presso l’Università di Catania del 13 maggio 2016. Per esigenze legate
al tempo l’intervento è stato riassunto in sede di dibattito, venendo
poi interrotto dal Rettore quando parla di “tour propagandistici negli
atenei” della ministra in vista del referendum costituzionale di
ottobre.
Per dovere di cronaca...ecco la risposta del Ministro...
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