giovedì 18 febbraio 2016

Lettera da Aleppo


Caro Rabi, mi chiedi di Aleppo e ti racconto della città in cui siamo cresciuti insieme. Sono anni che non si vede una bella giornata. I colpi d'artiglieria non si fermano mai, nemmeno per un'ora o due. La vita è cambiata, tutti i posti che ricordi non ci sono più: dimenticali, è troppo doloroso. Le bombe lanciate dal regime colpiscono indiscriminatamente, distruggendo tutto al loro passaggio. Tutto è cambiato, distrutto o abbandonato, senza vita. Perfino nei nostri sogni non sappiamo più che cosa voglia dire "sicurezza". Ogni volta che apri gli occhi non sai se sarà l'ultima volta che vedrai i tuoi figli.

Le persone che conoscevi non sono più qui. Negli ultimi anni si sono trasferiti in città gli abitanti delle città e dei paesi vicini, sperando di trovare sicurezza. Aleppo è sempre stata vista come un luogo sicuro. Ma molti di loro hanno dovuto proseguire il viaggio. La gente continua a cercare posti più sicuri, perciò continua a venire e ad andar via. Noi siamo felici di aiutare, ma è difficile e siamo stanchi.

Aleppo non è ancora completamente assediata, ma spostarsi in città è diventato difficilissimo. Le persone vivono alla giornata: la loro speranza è morta insieme alla loro città, e molto spesso insieme ai loro cari.

Le cose più semplici della vita sono diventate difficilissime: per comprare cibo, pane o acqua per la tua famiglia devi aspettare in file lunghissime, e poi aspettare ancora. Passi tutto il tempo a guardarti attorno, facendo attenzione a ogni rumore, come se fosse possibile sentire se sarai il prossimo a essere colpito da un attacco. Il resto del tempo pensi alla tua famiglia: saranno ancora vivi quando tornerai a casa? La tua casa ci sarà ancora? Alla fine forse riesci a trovare quello per cui sei venuto. Se sei fortunato, riesci a tornare a casa incolume, senza essere ucciso da una bomba sganciata da un aereo. Non è solo combattere sulla linea del fronte, non sono solo i bombardamenti continui. Ci sono cecchini nascosti in ogni angolo lungo la strada che porta fuori città.

Adattiamo costantemente le nostre vite. Le scuole si sono dovute spostare sottoterra e gli ambulatori devono fare i conti con forniture limitate. Abbiamo cercato di costruire nuove istituzioni democratiche: abbiamo eletto nuovi leader. Tutto è un'impresa. Abbiamo cercato di andare a Nord, in altri quartieri, ma ci cadevano sopra le bombe. Vedevamo gli aerei volare sopra di noi, a volte hanno la bandiera siriana, a volte russa, a volte non lo sappiamo nemmeno. Sembra che ci seguano dovunque andiamo.

Anche i paesini dei dintorni, Anadan, Marah, Tal Refat, Hretan, Bynoon, Azaz stanno soffrendo. Sono i centri grandi e piccoli che diedero il via a una rivoluzione pacifica. Si schierarono con Aleppo quando le forze governative siriane attaccarono i civili in città; accolsero la gente che fuggiva dalle bombe e dalle cannonate. Ma che ne è stato? Sono stati bombardati, ogni santo giorno. Le persone non sanno chi sia l'obbiettivo degli aerei e se saranno loro i prossimi a morire. Decine di raid aerei al giorno negli ultimi 120 giorni.

E ora è arrivato il momento di andar via. Non pensavo che questo momento sarebbe venuto, ma devo arrendermi. Parto per un posto che non sono nemmeno sicuro che esista. Molti miei amici stanno già aspettando lungo il confine turco. È uno spazio aperto, freddo, affollato da 70.000 persone, con temperature gelide. Ma il mio cuore rimarrà sempre qui.

Aleppo deve fronteggiare una grande macchina da guerra armata solo di armi leggere. Non è solo un bersaglio geografico. Aleppo è karama, è dignità, è la rivoluzione contro l'ingiustizia.

Addio Aleppo: la mia città natale, il posto dove ho passato la mia infanzia, dove sono tutti i miei ricordi.
Spero di rivederti lì un giorno, amico mio.
Il tuo amico d'infanzia, S.
( Traduzione di Fabio Galimberti)

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