Lino Ricchiuti, presidente del movimento politico “Popolo Partite Iva”.
E’ cattivo? E perfido? Gode delle disgrazie altrui? Niente di tutto
questo, Ricchiuti ha ampiamente spiegato perché lui per il terremoto non
darà neanche un centesimo. E a chi riesce ad andare oltre la mano
battuta sul petto e l’sms solidale ad effetto catartico, la spiegazione
piace, convince.
Ecco cosa dichiara Ricchiuti, ed io condivido al 100% :
“Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi
raccoglie fondi per le popolazioni terremotate. So che la mia suona
come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il
pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun
numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò
nessun sms. Non partiranno bonifici da banche che non hanno avuto
neanche il pudore di azzerarsi le commissioni. Non ho posti letto da
offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi
vestiti, peraltro ormai passati di moda.
Ho resistito agli appelli
dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei
politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i
palinsesti travolti, le dirette no-stop, le scritte in sovrimpressione
durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il
più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io
possa fare.
Non do un euro perché è la beneficenza che rovina
questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo
pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi
perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io
sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La
generosità, purtroppo, la beneficenza, fa da pretesto. Siamo ancora lì,
fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire,
stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione
autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro. Eppure penso che le
tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le
responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo.
Non do
una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci
sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la
protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi
ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico
no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti e grandi evasori che
attraversano l’economia del nostro Paese o ai politici di lungo corso
che non hanno mai lavorato in vita loro e hanno yacht arenati in porti
turistici o mega ville. E nelle mie tasse c’è previsto anche il
pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla
sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le
catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad
ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia
passerella. Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio,
ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli
spettatori.
Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho
ascoltato la “classe dirigente” dire che “in questo momento serve
l’unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io
non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della
comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello
che è successo, perché governate con diverse forme – da generazioni –
gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi,
io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le
amnesie di una giustizia che non c’è. Io non lo do, l’euro. Perché mi
sono ricordato che mio padre, che ha lavorato per 40 anni in campagna,
prende di pensione in un anno meno di quanto un qualsiasi parlamentare
guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per
compensare cosa?
A proposito. Quando ci fu il Belice i miei
nonostante avevano una vita dura, diedero un po’ dei loro risparmi alle
popolazioni terremotate. Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero
il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la
ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l’Irpinia ci fu
l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui
bambini non puoi restare indifferente e poi l’Aquila con quella casa
dello studente. Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua
a fare sempre come prima?
Io non do una lira per i paesi
terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno
Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così
non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa
politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno
potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta
all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 Settembre, il
terremoto sarà il paravento per giustificare tutto anche le migliaia di
suicidi di Stato per ragioni economiche e vessatorie sui quali
volutamente hanno fatto cadere il silenzio. Vergognatevi. Ci sono
migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo
volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli
sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei
super manager. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova
cosa che penso mi monta sempre più rabbia.
Io non do una lira. E
do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché
rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere
una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando
sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi
hanno scoperto una cosa nuova, come se il know-how del Sol Levante fosse
solo un’esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa
come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto
pratico.
E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i
poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta
grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il
dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o
li hanno fatti morire di noia. Ma io, qui, oggi, mi sento italiano,
povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come la natura quando muove la terra, d’altronde”.
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